Secondo puntata della rubrica “Pensarsi”, a cura di Cosimo Gragnani e Giacomo Pasini.
Con questo articolo Cosimo affronta brevemente il tema dell’identità e analizza le implicazioni che porta con sè. Nella scorsa puntata Giacomo ha definito il termine di identità nei suoi significati, mentre Cosimo vuol quà decostruire il concetto e analizzarne le implicazioni. Ha scritto questo articolo prendendo spunto dai suoi recenti studi, in particolar modo dai libri e dalle conferenze del prof. Francesco Remotti, uno dei più grandi antropologi italiani, che ha dato molta importanza nelle sue opere alla logica identitaria e i problemi che porta con sè.
L’identità
L’identità è opportuno chiarire che non è che un costrutto culturale, sociale, politico. Non esiste neanche un popolo a cui l’Italia appartiene per natura, nè esiste una razza pura. Questo è banale ma neanche troppo, dati i discorsi che sentiamo sempre più spesso e visti i movimenti populisti nazionalisti che hanno sempre più consenso.
Il concetto di identità sembra imprescindibile dal nostro essere e stare al mondo. Io ho bisogno della mia identità per essere riconosciuto. Il mio gruppo ne ha lo stesso bisogno. Affermiamo la nostra identità per affermare di essere qualcosa. Rivendichiamo il diritto di essere riconosciuti e di veder riconosciuta la nostra esistenza.
L’identità e l’alterità
Ma il nostro concetto di identità implica anche che non vi sia alterità all’interno. L’alterità, il diverso, rimangono fuori. Infatti, l’identità è un pericolo per la nostra alterità, in quanto noi ce la siamo creata proprio in contrapposizione all’altro. Non esiste una identità se non in confronto ad un altro. L’alterità è un pericolo per la nostra identità perchè rischia di alterarla e metterla in discussione. L’uso del concetto di identità, dunque, serve a definire dei confini precisi del “noi” . Questi confini, sia fisici che mentali o sociali, devono essere protetti: tanto più sono precisi e solidi, tanto più sono strumenti di salvaguardia della nostra identità. E’ chiaro quanto il concetto di identità porti ad una chiusura nei confronti dell’altro.
Questa chiusura porta al conflitto, che prende varie forme. Al massimo può portare alla tolleranza, che è simile al sopportare l’altro; non porta certo a una relazione o ad una convivenza dello stesso luogo. La tolleranza porta semmai al coabitare che non è uguale al convivere.
Eliminare i muri
Penso che si debba almeno ripensare il nostro concetto di identità, viste le implicazioni che porta con sè. E credo in un’alternativa basata sulle relazioni. L’identità tende a ridurre e impoverire il rapporto con l’altro ma oggi, invece, dobbiamo garantire a gruppi o etnie diverse di persone di convivere. Questo non vuol dire che io debba cambiare i miei costumi, le mie pratiche culturali, ecc.. Nè che l’altro debba farlo. Significa relazionarsi per dar vita a nuovi modi di convivere che non portino a conflitti e disuguaglianze. Significa riconoscere le differenze con l’altro per valorizzarle e sfruttarle, invece che usarle come muri. Significa comprendere i processi globali ormai inevitabili che caratterizzano il nostro tempo – e, in misura minore, hanno caratterizzato tutta la nostra storia – per poter attuare un cambiamento dal basso, contro ciò che che ci è dettato dall’alto: chiusura e individualismo, nazionalismo, conflitto e paura.
Cosimo Gragnani
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