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Pensarsi – Prima puntata: Sull’identità

“Pensarsi”, nuova rubrica creata da Cosimo Gragnani e Giacomo Pasini, due studenti di antropologia presso l’Università di Bologna nonchè nostri volontariari. La rubrica affronterà temi di attualità, problemi della modernità e riflessioni sull’uomo di oggi; argomenti importanti da cui prendere spunto per riflettere.

Il primo articolo, scritto da Giacomo Pasini, definisce la parola “identità”. Partendo da una distinzione tra identità collettiva e individuale, approfondisce qest’ultima: svela le varie sfaccettature percepite dal singolo e evidenzia come gli altri ci identificano. Buona lettura!

Sull’identità

Nello scrivere queste mie riflessioni ho preso spunto da una conferenza riguardante i concetti di identità, alterità e somiglianza, tenuta dal celebre antropologo Francesco Remotti. Mi concentrerò in particolare sul primo dei tre termini in questione.

 

Identità: insieme di caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e inconfondibile; in poche parole ciò che ci rende diverso dall’altro.

Questa è una delle definizioni di identità più facili da trovare su internet. E questa  è un po’ la concezione che tutti noi ci siamo fatti di essa. Ma cosa è nella vita di tutti i giorni l’identità, è un qualcosa che si ha, che si porta con sé, oppure è la consapevolezza della nostra unicità?

L’identità può assumere varie forme: abbiamo quella anagrafica, quella narrativa, quella nazionale, e l’elenco potrebbe continuare a lungo.

In ogni caso lo scopo dell’identità è quello di attestare una sorta di unicità in ogni persona e questo lo possiamo notare nell’aprire una qualsiasi carta d’identità, per l’appunto: il fatto che io sia nato il 16 settembre del 1993, che io sia alto 175cm, che il numero della mia carta sia l’unico ad essere così e che la firma sia solamente la mia sono la testimonianza del fatto che io sia il solo Giacomo Pasini, fatto in un determinato modo, sulla faccia della Terra.

Quando poi l’identità diventa collettiva può essere pericolosa. Se tanti esseri unici fanno del loro essere simili, in una più ampia visione unitaria, uno strumento di propaganda politica, il rischio è davvero grosso. Il “diverso” verrà visto come nemico da escludere, da combattere, da annientare, in nome della difesa della propria unicità, come individui e come gruppo. La tanto decantata conservazione delle tradizioni originarie e pure, altro non è che la difesa dell’unicità del proprio gruppo. Il mescolarsi ad esseri umani diversi metterebbe in crisi l’identità del gruppo.

L’identità per l’individuo

Torniamo all’individuo. Il rischio del vedere l’identità come una cosa data è di appiattire e congelare la vera identità, o meglio le vere identità.

Esistono tanti Giacomo Pasini che hanno fatto tante cose diverse nel tempo, anche in contraddizione fra loro, e che se dovessero incontrarsi oggi potrebbero starsi molto antipatici e anche venire alle mani. Ma questi tanti Giacomo non sono persone che vengono da luoghi diversi e che hanno vissuto vite apparentemente lontane. Essi sono tutti qua dentro, o meglio lo sono stati, esattamente nel corpo che sta scrivendo queste parole. Tutti abbiamo utilizzato queste mani per giocare, questi piedi per correre e questa testa per pensare. Siamo forse tutti la stessa persona?

Sta nella qualità dei vari utilizzi delle mani, dei piedi e della testa la grossa differenza fra i diversi me che hanno agito all’interno del mio corpo.

Sono convinto che il Giacomo di adesso, che studia antropologia con una passione indescrivibile, non sarebbe molto d’accordo con quello di qualche anno fa, che invece di andare a scuola si sedeva al bar, nel più totale disinteresse verso i libri.

Non posso proprio dire di essere la stessa persona. E’ indubbio che ci sia un filo logico che connette queste due persone. Se non fossi andato al bar, ripudiando totalmente i miei studi di allora (l’informatica), non avrei forse viaggiato e non mi sarei avvicinato all’università. E che cos’è questo filo logico se non i tanti Giacomo che si sono susseguiti?

Ci sono centomila identità all’interno di noi stessi, piccoli pezzettini di un puzzle che vanno a formare le persone che siamo. E sono le nostre azioni presenti a plasmare e dar forma alle nostre identità future. O per lo meno ad aiutare i futuri noi a prendere una direzione.

Indubbiamente c’è una certa similarità fra il me passato e quello odierno. Ma similarità non è sinonimo di uguaglianza. Sono simile al Giacomo di ieri, non uguale.

 

“Compiamo un atto. Tutti crediamo di essere in quell’atto. Ma ci accorgiamo che l’atto è solamente l’uno dei tanti che siamo o che possiamo essere. Sarebbe atroce giudicarci solo da quell’atto per un’intera esistenza, come e questa fosse tutta assommata in quell’atto solo.”  

 Pirandello                          

L’identità per gli altri

Poi ci sono gli altri, ovviamente. Sono loro a definire le nostre identità e a farci vestire un abito diverso in ogni occasione: il cappello della spensieratezza in compagnia degli amici, la coperta dell’affetto con la mia famiglia, la camicia della serietà durante un esame e la maglietta dell’ineleganza mentre guardo una partita di calcio con i coinquilini.

Certo gli altri possono giudicarci, anche negativamente e cucirci addosso abiti non nostri. Possono chiamarci “drogati” se in passato abbiamo fatto uso di stupefacenti, possono chiamarci “imbranati” se una volta siamo caduti in pubblico, davanti a tutti.  In tal modo ci vengono attaccate addosso delle etichette, le quali non parlano che di una parte o di un singolo episodio di quella che è la vita.

Il doppio segreto – René Magritte

Tutti veniamo giudicati per le nostre azioni, o per azioni che ha commesso il nostro Giacomo passato, con cui, magari, non abbiamo nulla a che fare noi oggi. Ma l’identità funziona così. Sintetizza, semplifica, riduce all’inverosimile tutta la nostra vita, tutte le nostre mille vite che abbiamo vissuto, tutte le miliardi di vite che si sono susseguite nella storia.

Con questo non voglio privare i singoli uomini della loro unicità, anzi. Tale unicità, però, è frutto di qualcosa in più rispetto ad una sostanza intrinseca ed immutabile, che possiamo congelare attraverso una scarna descrizione. Noi siamo di più. Siamo il frutto dell’incontro fra varie coordinate storiche, geografiche e sociali; siamo il prodotto dell’amore di due persone, oppure siamo un incidente di percorso, un qualcosa di non voluto che si è ritagliato il suo spazio nel mondo; siamo i nostri amici, i nostri professori, gli autisti degli autobus che ci portano a lavoro.

Nella mia carta d’identità  vorrei un manuale di storia, poiché la mia carta d’identità è un libro che inizia con il Big Bang; vorrei un atlante di geografia dato che sono figlio di migrazioni e a mia volta mi sono mosso nello spazio e non sono rimasto nel mio luogo di residenza.

L’identità è il dialogo fra storia (il passato), movimenti (la geografia) e incontri (gli altri), e tutti e tre si fondono a formare la nostra esperienza. Esperienza è una parola più dinamica, aperta, che rispecchia al meglio la nostra condizione di esseri sociali, relazionali, umani.

Nella mia carta d’identità vorrei il mio nome, ma anche il nome delle persone che ho incontrato; vorrei il racconto della mia storia, ma anche quello della loro, poiché senza la parola altri, il concetto di identità non esisterebbe.

 

Giacomo Pasini


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